Meride e Selinunte, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Porto di Siracusa con veduta di mare nel fondo ed in facciata la gran porta della stessa città. Nel mezzo la statua a cavallo del re Dionisio ed a’ lati di essa due statue pure a cavallo di Meride e Selinunte in abito militare.
 
 SCENA PRIMA
 
 TIMOCRATE e NICANDRO
 
 TIMOCRATE
 In più forte difesa
 son anco eretti a Siracusa i muri?
 NICANDRO
 Cresce l’opra al lavoro e in miglior guisa
 ciò che strusse il furor, l’arte ripara.
 TIMOCRATE
5Molto deve il re nostro alla tua fede.
 NICANDRO
 Seguo l’esempio tuo, che in pro del regno
 non risparmiasti né sudor né sangue.
 TIMOCRATE
 Ma la giusta mercede altri m’invola.
 NICANDRO
 Timocrate, te duce,
10cadde Lentino e Tauromina e Nasso;
 per te stende l’invitto
 Dionisio le leggi a più gran regno.
 Il men n’è Siracusa.
 TIMOCRATE
 È ver; ma di tant’opre ove ne resta
15la memoria scolpita?
 Meride e Selinunte han statue e marmi;
 Timocrate non gli ha.
 NICANDRO
                                          Tu sempre avesti
 nel regio affetto il primo grado; e solo...
 TIMOCRATE
 No, vi ho compagni. In breve
20vi avrò maggiori. Chi a cader comincia
 nel lubrico e nell’erto, è già caduto.
 NICANDRO
 Mai sì turbato il tuo gran cor non vidi.
 TIMOCRATE
 Né di turbarmi ebbi cagion più giusta.
 Meride e Selinunte
25nell’amor di Ericlea mi son rivali.
 Qual di loro sedotto
 n’abbia l’amor, nol so. Certo l’un s’ama;
 l’altro si soffre; e lo sprezzato io sono.
 NICANDRO
 Più felici che forti,
30tornano entrambi a Siracusa.
 TIMOCRATE
                                                        E premio
 di facile trionfo,
 chiederanno le nozze a me dovute
 della bella Ericlea.
 NICANDRO
                                    Deludi il fasto
 col prevenirlo. Il re, da te richiesta,
35qual potrà ricusarla? O a te negata,
 qual concederla altrui?
 TIMOCRATE
                                            Caro Nicandro!
 Sempre è buon consigliere un vero amico.
 Tua amistà non si stanchi;
 e se al tuo merto ricompense eguali
40non avrà il genitor, le avrà la figlia. (Mostrando Areta che sopravviene )
 
 SCENA II
 
 ARETA e i suddetti
 
 ARETA
 Le avrà ma quanto esige il suo dovere.
 NICANDRO
 E al mio misero amor nulla di spene?
 ARETA
 Può risponder la figlia al fido amico;
 all’audace amator risponda il padre.
 TIMOCRATE
45Dalla nota di audace (Ad Areta )
 lo assolve il voto mio. Spera. Io difendo (A Nicandro )
 la ragion del tuo amor. Non sempre Areta
 ti sarà ingiusta. Espugneran quell’alma
 la tua fede e il tuo merto o un mio comando.
 NICANDRO
50No, che se amor potesse
 nascer da impero o da servil timore,
 né diletto ei saria né saria amore.
 
    Alla forza di un comando
 non dimando
55la conquista di quel core.
 
    Col timor si espugna il vile
 ma il gentile
 con la fede e con l’amore.
 
 SCENA III
 
 TIMOCRATE ed ARETA
 
 TIMOCRATE
 Figlia, tu gli occhi abbassi e stai dolente?
 ARETA
60Del mio destin la dura legge intendo.
 TIMOCRATE
 Di Nicandro l’amor tanto ti è greve?
 ARETA
 Veder che tu l’approvi è il mio dolore.
 TIMOCRATE
 Egli in corte ha favor. Di Siracusa
 commesse a lui son la custodia e l’armi.
65Giovami averlo amico.
 ARETA
 A costo ancor della mia pace? Ah padre!
 TIMOCRATE
 Orsù, ti accheta. Non temer ch’io stenda
 sovra il tuo cor l’autorità del cenno.
 Non ti sforzo ad affetti.
70Sol ti chieggo lusinghe.
 Fingi in mio pro.
 ARETA
                                  Respiro. A me fia lieve
 ingannare un amante,
 che ad accorta beltà non costa molto
 l’arte del labbro e la bugia del ciglio.
75Ma qual pro dall’inganno?
 TIMOCRATE
 Quale? Sincerità fa pochi amici,
 molti accortezza; e le fortune han corso
 dove l’applauso popolar le spinge.
 ARETA
 Non i molti, cred’io, ma i veri amici
80fan la stabil fortuna.
 Meride un sol ne vanta in Selinunte;
 e questo eleggerei, pria che la folta,
 che ti circonda, instabil turba e lieve.
 TIMOCRATE
 Più non t’escan dal labbro i due funesti
85nomi odiosi. In solo udirli il sangue
 tumultuoso io sento
 spandersi al viso, indi serrarsi al core.
 In loro ho due nimici, ho due rivali.
 ARETA
 Ma felici e possenti.
 TIMOCRATE
90Né Timocrate è vil né tua beltade.
 Tu il sostegno più forte
 sarai dell’odio mio.
 ARETA
                                      Come?
 TIMOCRATE
                                                      Maturo
 non è ancora il destin che ti vuol grande.
 Non tarderà.
 ARETA
                           Tien per me arcani un padre?
 TIMOCRATE
95Vanne. Qui attendo il re. Lusinghi intanto
 idea d’alta fortuna i tuoi pensieri.
 ARETA
 Per più languir, non m’insegnar ch’io speri.
 
    Non credo alla speranza;
 conosco la mia sorte;
100e avvezzo la costanza
 a non sperar contenti.
 
    Mi basta che il mio fato,
 benché sì dispietato,
 non cresca di baldanza
105e più crudel diventi.
 
 SCENA IV
 
 DIONISIO con seguito e TIMOCRATE
 
 DIONISIO
 Tra’ più felici numerar ben posso,
 Timocrate, un tal giorno. Erice è doma;
 Reggio è distrutta. All’uno e all’altro lido
 stese son le nostr’armi;
110e qui ben tosto i due guerrieri invitti
 riceveran ne’ miei reali amplessi
 il primo, sì, ma non il solo onore
 e guiderdone a lor virtù dovuto.
 TIMOCRATE
 Signore, alla lor sorte
115né detraggo né invidio. Abbian la lode;
 abbian la ricompensa.
 Sol dona a me che con la figlia io possa
 lungi trar dalla reggia i brevi giorni
 che spender non mi è dato,
120qual fei de’ molti, in tuo servigio e gloria.
 DIONISIO
 Di qual torbido meschi il mio sereno?
 Tu partir con Areta? E allor partire
 ch’io, giunto al sommo della mia grandezza,
 medito ancor la tua?
 TIMOCRATE
                                        L’addio che imploro...
 DIONISIO
125No. Togliti dal cor brama sì ingiusta.
 T’agita un cieco affetto
 e ti offusca ragion. Misera sorte
 di chi pena in balia d’odio e livore!
 Vincesti i miei nimici.
130Vinci anche i tuoi ma quei che chiudi in seno.
 Oggetto esser tu puoi d’invidia a tutti.
 Nessuno a te. Non ti si tace arcano.
 Favor non ti si nega.
 Più che darti non ho. Resta il mio soglio.
135Alla beltà di Areta
 lasciane la conquista. Al regio amore
 non ritarda i contenti
 che il dispiacer di un rio civil furore.
 
    Sono amante ma regnante.
140Sinché miro odio civile
 agitar torbida face,
 non ha pace amor di re.
 
    Tu, se m’ami
 e se brami
145la tua sorte e il mio riposo,
 generoso
 l’odio vinci e il dona a me.
 
 TIMOCRATE
 Mio re, qual arduo chiedi e sanguinoso
 sacrifizio al mio core?
 DIONISIO
150Quant’arduo più, più n’avrai lode e merto.
 TIMOCRATE
 Tu gl’insulti ne sai, tu l’onte, i mali.
 DIONISIO
 Odio provoca ad odio e torto a torto.
 TIMOCRATE
 Quanti tradir dopo ingannevol pace!
 DIONISIO
 Ti farò sicurtà dell’altrui fede.
 TIMOCRATE
155Vuoi l’ire estinte? La cagion ne togli.
 DIONISIO
 Chi tra’ miei cari la fomenta e pasce?
 TIMOCRATE
 La beltà di Ericlea. Deh! Questa, o sire,
 che già fu mia vittoria, or sia mia spoglia.
 DIONISIO
 Meride l’ama o Selinunte?
 TIMOCRATE
                                                   Entrambi.
 DIONISIO
160Come in rivalità dura amistade?
 TIMOCRATE
 Odio fa in lor ciò che non puote amore
 e, s’io nol fossi, essi sarien nimici.
 DIONISIO
 Se a te compiaccio, ecco le altrui querele.
 TIMOCRATE
 Nessun si può lagnar di un ben perduto,
165senz’averlo richiesto.
 DIONISIO
 Orsù, vo’ consolarti.
 A me venga Ericlea. Tu qui in disparte
 qual per te parlo udrai.
 TIMOCRATE
                                             Sire, or gli affetti
 tutti dell’alma in sacrifizio accetta.
170(Comincio dall’amor la mia vendetta).
 
    Uscite dal mio sen, sdegni e rancori,
 né vi sovvenga più d’insulti e d’onte.
 
    Rubelli voi sarete e traditori,
 se mai contra il dover della mia fede
175baldanza vi verrà di alzar la fronte. (Si ritira)
 
 SCENA V
 
 ERICLEA e DIONISIO
 
 ERICLEA
 All’onor del tuo cenno, ecco la tua
 prigioniera infelice.
 DIONISIO
 Di prigioniera e d’infelice il nome
 perché darti, Ericlea? Nella mia reggia
180quell’onor ti si rese, in cui potessi
 i tuoi casi obbliar, non il tuo grado.
 È ver; nimico al padre, io gli fei guerra
 ma da lui provocato.
 Gli tolsi il regno; ma destin dell’armi
185esser potea ch’io vi perdessi il mio.
 Pari furon le offese.
 L’esito le distinse;
 e fortuna ne ha colpa. Io le correggo
 per quanto è in mio poter. Nulla mi giova.
190Priva di libertà, priva d’impero,
 tu, qual de’ cibi fa palato infermo,
 o non gradisci i doni o non li curi.
 Su, tolgasi a’ lamenti ogni pretesto.
 Libera sii. Di Tauromina e Nasso,
195retaggio avito, a salir vanne il soglio.
 Al dono illustre un maggior dono aggiungo,
 sposo che tel difenda;
 e Timocrate ei fia. Qual mai più degno
 e re e consorte a te dar posso e al regno?
 ERICLEA
200Ospite, cui si appresti in regia stanza
 assirio letto, e poi si trovi a canto
 belva feroce o minaccevol angue,
 o cui di cibi eletti
 lauta mensa imbandita, alfin si vegga
205porger in aureo vaso
 venefica cicuta o rio nappello,
 sì non riman da freddo orror sorpreso,
 qual io, signor, per cui crudel diviene
 la stessa tua beneficenza. A foggia
210di schiava eleggerei, pria tronco il crine,
 i ceppi al piede e la mannaia al collo,
 che sì barbare nozze.
 DIONISIO
 Troppo ti lasci trasportar da sdegno.
 ERICLEA
 Troppo? Chi fu che il genitor mi uccise?
215Chi uccise i miei? Chi empié d’incendi e stragi
 le vie di Tauromina? Ah! Mai nol veggo
 ch’ei non rinfreschi ognora
 la piaga al core e alla memoria il danno.
 DIONISIO
 Tutti i tuoi mali l’amor suo ripara.
220Solo per lui patria ti rendo e regno.
 ERICLEA
 Fuori di Siracusa, a te richiesi
 trar solinga i miei giorni,
 solo per tormi all’odioso aspetto.
 Lasciami in quei riposo
225che aver può un’infelice.
 DIONISIO
 Meglio pensa, Ericlea. Chi re consiglia...
 ERICLEA
 Non comanda tiranno.
 DIONISIO
 Preghi o comandi un re, del par l’offende
 il rifiuto o il contrasto.
 ERICLEA
230Misera esser poss’io, vile non mai.
 DIONISIO
 La sofferenza mia ti fa ostinata.
 ERICLEA
 Parla al giusto signor la mia costanza;
 parlerebbe all’iniquo il mio disprezzo.
 DIONISIO
 Vedi che sol ti prego e ti consiglio,
235quando usar forza e comandar potrei.
 ERICLEA
 E se forza tu usassi, allor direi:
 
    Re barbaro... Ma no.
 Veggo che parlo a te,
 re grande e giusto re
240che tieni con l’amor
 sull’alme il regno.
 
    Lasciami alla mia sorte;
 dammi anche ceppi e morte;
 tutto è pietà per me.
245Sol toglimi all’orror
 del nodo indegno.
 
 SCENA VI
 
 DIONISIO e TIMOCRATE
 
 DIONISIO
 Udisti? Ad urto d’onda
 scoglio pria cederà che a te l’altera.
 TIMOCRATE
 L’amor mio non dispera.
250Altre fiere ammansai. Sol tu ricusa
 le nozze di Ericlea, s’altri le chiede.
 DIONISIO
 Invan le chiederà. Ti do mia fede.
 TIMOCRATE
 Non ridano, s’io piango, i miei rivali. (In atto di partire)
 DIONISIO
 Rimanti. A noi si avanza
255la coppia illustre. Io voglio
 a tante risse impor silenzio e fine.
 TIMOCRATE
 (Lo avranno, sì, ma sull’altrui ruine).
 
 SCENA VII
 
 MERIDE, SELINUNTE, seguiti da una parte dei loro esercito, e i suddetti
 
 DIONISIO
 O del nostro diadema
 ornamento e sostegno,
260cinganvi queste braccia, a cui lo scettro
 rassicuraste, e questo sen vi stringa,
 cui di gioia colmaste, anime invitte.
 MERIDE
 Use a vincer, te duce,
 le tue schiere, o signor, te lunge ancora
265seguono il loro corso e han legge e moto
 dalla man che lor diede il primo impulso.
 Pur se alcuno in tua gloria aver dee parte,
 Selinunte egli fia. Sanlo i rubelli,
 da lui sconfitti. Il sa l’iniquo Iceta,
270se già terror di Siracusa, or busto
 e cadavere informe. Erice ed Ibla
 senza lui non cadean. Vinta ogni guerra,
 ei ti fe’ amico o tributario o servo
 quanto l’onda sicana abbraccia e serra.
 SELINUNTE
275Sire, in Meride parla
 l’amor; ma tace il merto. Ogni altro pregio
 ne’ suoi, qual nel maggiore il minor lume,
 si oscura e perde. Egli sul mare opposto
 fugò le bruzie antenne; e della preda
280parte ne assorbì l’onda e parte il foco.
 Reggio, divisa un tempo
 per forza d’acque dal trinacrio lido,
 salir sue torri stupefatta il vide;
 né le valse in suo scampo arte o difesa.
285Sbigottito il vicino a lui la destra
 supplichevole porse.
 Ne tremò il più lontano.
 Di palma in palma ei tal volò, non corse.
 TIMOCRATE
 (Sulle labbra di entrambi arte è la lode).
 DIONISIO
290Principi, il valor vostro
 ha in ognuno di voi chi lo pareggia,
 senz’aver chi lo vinca. In voi contende
 il piacer d’esser vinto ed il timore
 di parer vincitore.
295Io per opre sì eccelse
 che non vi deggio? E pur mi è forza ancora
 chiedervi novi lauri. Un fier nimico,
 turbator de’ miei sonni, a vincer resta.
 MERIDE
 E qual? L’Ausonio forse o il Peno infido?
 SELINUNTE
300E v’ha chi ardisca provocar tuoi sdegni?
 DIONISIO
 Sì; né cercarlo è d’uopo
 che nella reggia mia, tra’ miei più cari,
 in Timocrate e in voi. Deh! Poiché tanto
 feste per me, con degno sforzo ancora
305l’odio vostro vincete.
 Timocrate già il vinse. Al generoso
 un atto di virtù non val gran pena.
 Sdegno è vizio d’uom vile;
 e non tien bassi affetti alma gentile.
 MERIDE
310Ubbidisco, o signor. L’ossequio mio
 non cerca altra ragion che il tuo comando.
 SELINUNTE
 Col labbro dell’amico il mio rispose.
 DIONISIO
 Men dal vostro valor non attendea.
 Timocrate, ti appressa.
 TIMOCRATE
315(A qual viltà son io costretto?)
 DIONISIO
                                                         Omai
 datevi amico amplesso; (Fa abbracciargli insieme)
 e se fia che alla fede alcun pria manchi,
 l’offesa io prenderò sovra me stesso.
 TIMOCRATE
 (Amplesso mentitore!
320Lo dan le braccia e lo rigetta il core). (Si parte)
 
 SCENA VIII
 
 DIONISIO, MERIDE e SELINUNTE
 
 DIONISIO
 Or qual mercé mi resta
 degna di voi?
 MERIDE
                            Chi ’l suo dovere adempie
 lo riceve dall’opra.
 DIONISIO
 Non dee vostra virtù lasciarmi ingrato.
 SELINUNTE
325Ristringansi, o signor, tutti i miei voti
 nel piacer dell’amico. Egli arde amante
 per la bella Ericlea.
 MERIDE
                                      Di fiamma eguale
 per lei divampa Selinunte ancora.
 SELINUNTE
 È ver; ma ogni altro affetto
330all’altar di amistà consacro e sveno.
 MERIDE
 Non son di te men generoso e forte.
 Mio re, se impetrar posso
 dono da tua bontà, stringi il bel nodo
 e Selinunte ad Ericlea sia sposo.
 SELINUNTE
335Qual prego ingiusto? Egli al suo cor fa forza.
 Compiacerlo è fierezza.
 Rendi questa giustizia al suo valore
 e la cara Ericlea dona al suo amore.
 DIONISIO
 O si uniscano i voti
340o si cangi il desio. Ciò che l’un chiede
 l’altro distrugge. A me, che al par vi onoro,
 del dono e del rifiuto
 tolto è l’arbitrio. Il consolarne un solo
 saria offendere entrambi;
345e un ben ceduto, e ricusato insieme,
 avrei rossor che vostro premio or fosse.
 Ve ne attende un maggior. Spegnete intanto
 le languide scintille; il bramo e il chieggo;
 e può dal cor di generoso amante
350sperar ciò che ha l’amico, anche il regnante.
 
    Amor di fral beltà
 possanza in voi non ha.
 Virtù v’accende il cor,
 v’alza la brama.
 
355   Tutto dal vostro petto
 esca il già vinto amor.
 Chi cede un vago oggetto
 può ben lasciar di amarlo
 o più non l’ama.
 
 SCENA IX
 
 MERIDE e SELINUNTE
 
 SELINUNTE
360Meride ingiusto, a che rifiuti ancora
 dalla man di un amico un ben sì caro?
 MERIDE
 Quel ben, che mi abbandoni, è pur tuo voto.
 SELINUNTE
 Il perder Ericlea ti saria morte.
 MERIDE
 Cederla a te poss’io senza un sospiro.
 SELINUNTE
365Muti e più ardenti ha i suoi sospiri il core.
 MERIDE
 Credei di amarla primo e amarla solo.
 Il tuo amor mi prevenne; e allora il mio
 ripresi, il condannai, gli diedi esiglio.
 SELINUNTE
 Il feci, il feci anch’io. Ma che? All’altero
370sdegni accrebbe il contrasto e il fe’ più fiero.
 MERIDE
 Tu confessi di amarla. Io te la cedo.
 SELINUNTE
 No. Tua rimanga. Amar io posso Areta,
 i cui sospiri ardenti
 più d’una volta mi son giunti al viso,
375a farmi testimon della sua fiamma.
 MERIDE
 Non ha prezzo Ericlea né tu ami Areta.
 SELINUNTE
 Meride, queste gare alfin saranno
 e tua perdita e mia. Del nostro amore
 sia giudice colei che in noi l’ha desto.
 MERIDE
380Sì, a lei si vada; ed a comun riposo,
 ella sia che tra noi scelga lo sposo.
 SELINUNTE
 
    Del nostro destino quel labbro decida;
 e amor non divida sì bella amistà.
 
    Ma so che in quel petto per me non annida
385né tenero affetto né dolce pietà.
 
 SCENA X
 
 MERIDE
 
 MERIDE
 S’amo più di un bel volto un vero amico,
 amore, io non ti offendo.
 In quello e in questo il tuo gran nume onoro
 e, sia brama o amistà, sei sempre amore.
390Te sol cedo a te stesso; e là ti seguo,
 dove virtù mi accenna.
 Pur confesso il mio fral; talor mi volgo
 a mirar ciò che lascio; e allor che il miro,
 mi si sveglia tristezza e ne sospiro.
 
395   Se ti cedo, o bel sembiante,
 non mi dire infido amante;
 dimmi sol fedele amico.
 
    Se vedessi il fier dolore
 del mio core,
400lo diresti a te costante
 e il diresti a me nimico.
 
 Il fine dell’atto primo